MOTORI IBRIDI: CONOSCETE LE DIFFERENZE?

Era il 1997 quando la Toyota fece conoscere al mondo il primo motore ibrido. Fino a quel momento,  di precedenti ce n’erano stati molti, fin dai primordi dell’automobile, e persino l’augusto professor Ferdinand Porsche si era cimentato con questa soluzione firmando, nel 1900, un veicolo dotato di due unità a benzina da 3,5 CV e di altrettanti generatori, in grado di far funzionare motori elettrici collocati nelle ruote. Esperimenti pionieristici a parte, fu Takeshi Uchiyamada, allora giovane ingegnere della Toyota, a dare concretezza, appunto nel 1997, allo schema destinato a diventare un paradigma mondiale e che oggi chiamiamo full hybrid. Da allora, però, molte altre declinazioni della doppia propulsione termico-elettrica sono state sviluppate. La ricerca del contenimento dei consumi e, soprattutto, delle emissioni di CO2 (in particolare, nei cicli di omologazione) ha infatti indotto i costruttori ad aggiungere un motogeneratore elettrico e una piccola batteria a una platea di vetture con propulsori a combustione interna, così da ottenere una sorta di blanda ibridizzazione, non a caso detta mild . Automobili che non marciano mai a emissioni zero e che si giovano del contributo della macchina elettrica, collocata al posto dell’alternatore, per la riaccensione del motore termico, quando quest’ultimo viene spento dal sistema Start&Stop, e per dargli un aiuto negli spunti. È vero ibrido, quello mild? Ai posteri l’ardua sentenza. Chi avesse dubbi al proposito, può orientarsi sulle altre soluzioni, più complesse, ma anche più efficaci. L’una e le altre sono sintetizzate in queste pagine.

 

IL MILD

È la soluzione più semplice per dotare di un sistema ibrido le auto con motore termico e prevede la sostituzione dell’alternatore, di solito utilizzato per fornire energia ai sistemi di bordo, con un motogeneratore di potenza modesta. Questa macchina elettrica, azionata dalla cinghia Poly-V trascinata dal propulsore termico, ha lo scopo di recuperare l’energia che si sviluppa nelle fasi di decelerazione del veicolo e che, altrimenti, andrebbe dispersa, per immagazzinarla in una piccola batteria agli ioni di litio. Tale energia viene poi usata a due fini: far sì che il motogeneratore riavvii, in maniera rapida e silenziosa, il propulsore a combustione quando è spento, per esempio ai semafori o in coda a seguito dell’intervento dello Start&Stop; fornire all’unità termica un contributo di coppia motrice, alleggerendone il compito e, di conseguenza, riducendone il consumo e le emissioni di CO2. È importante non dimenticare che, in questa soluzione, l’unità termica è la sola ad agire sulle ruote motrici, quindi la marcia non avviene in nessuna circostanza in modalità puramente elettrica. Quanto alla tensione dell’impianto, gli schemi più semplici lavorano a 12 volt, i più sofisticati a 24 o 48 (quelli a 48, però, possono arrivare ad agire sulle ruote motrici, come avviene per i nuovi sistemi Stellantis adottati sulle Fiat 500X e Tipo Crosswagon, così come sulle Jeep Renegade e Compass, dando vita di fatto a uno schema ibrido full). Con questi schemi a 24 o 48 V, a parità di potenza, la corrente si dimezza o si riduce a un quarto, rispetto al sistema a 12 V, migliorando l’efficienza o consentendo di aumentare le prestazioni. Il mild hybrid costituisce, dunque, una soluzione a basso costo per l’elettrificazione dei motori tradizionali, ottenuta integrando con facilità schemi tecnici già esistenti. I vantaggi sono, però, limitati: consumi un po’ più bassi, soprattutto in città, grazie allo Start&Stop. A oggi le mild sono considerate ibride a tutti gli effetti, ma è possibile che certi benefici nel prossimo futuro vengano meno.

 

LE FULL

Le differenze di questo schema, rispetto ai sistemi mild hybrid, sono principalmente due: la diversa collocazione del motogeneratore e la taglia della batteria. Il primo dev’essere posizionato nella catena cinematica in modo da poter provvedere anche autonomamente alla propulsione dell’auto; la seconda, pur essendo in assoluto di taglia ancora piuttosto piccola, ha una capacità decisamente superiore rispetto a quella degli accumulatori impiegati sulle ibride mild. Il motogeneratore la ricarica durante i rallentamenti della vettura e ne riceve l’energia nelle riprese successive, collaborando in questa fase con l’unità termica (a benzina o a gasolio). Inoltre, è in grado di muovere l’auto in modalità completamente elettrica, ma soltanto per brevi tratti. La combinazione di queste azioni consente di ridurre i consumi. Questo schema può avere due tipi di funzionamento, in parallelo o in serie. Il primo prevede che sia il motore a combustione sia quello elettrico possano azionare le ruote, separatamente; nel secondo, invece, la propulsione è affidata esclusivamente all’unità elettrica e il motore termico ha il solo compito di azionare un generatore che produce la corrente destinata al sistema. Ci sono, infine, alcuni schemi (per esempio, quelli della Toyota e della Renault) che prevedono entrambi i sistemi di funzionamento in base alle circostanze (cosa che può imporre la presenza di due motogeneratori). Il layout delle full hybrid è quindi più complesso e costoso di quello delle mild, ma consente risultati migliori. Il suo funzionamento fa sì che, di fatto, si percorra pochissima strada in modalità solo elettrica, ma porta benefici nella marcia in città, dove i cicli di carica nei rallentamenti e di scarica nelle accelerazioni sono molto frequenti, cosa che ne eleva parecchio la percorrenza a emissioni zero. Dunque, le full hybrid sono ideali per chi fa dell’auto un impiego soprattutto urbano.

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Postato il 12 maggio

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